Il bruco è diventato farfalla?

Cinque anni fa, dopo le precedenti elezioni politiche, avevo trascritto su queste pagine alcune veloci impressioni personali sui risultati elettorali di allora. Con il titolo “Il bruco è diventato farfalla”. Pensavo di riprenderli e scrivere ora la seconda parte, ma mi è venuto da aggiungere a quel titolo soltanto un punto interrogativo, perché lo cambierei o aggiornerei di poco quel testo, giusto quel tanto a cui ti può obbligare la cronaca. La confusione era già scritta, e durerà ancora. In mezzo, in questi cinque anni, c’è stato molto ma anche poco, qualcuno ha provato a correre con gli stivali delle sette leghe, eccitato dal fatto che nessuno sembrava porgli ostacolo, ma forse ha girato solo su se stesso. C’è stata in questo “mezzo”, e purtroppo c’è ancora, “la vispa teresa” delle oramai lontane elezioni europee, o “il marchese del Grillo” ma in versione antipatica, quello del referendum sulle trivelle del 2016, quando vince chi non va a votare.

Diamo un’occhiata ai numeri di oggi, prendendo a riferimento i dati alla Camera. Il “centrosinistra”, con tutte le debite differenze di metamorfosi avvenute o tentate al suo interno o nei suoi paraggi, nel 2013 aveva avuto circa 10 milioni di voti e ora ne trova soltanto otto e mezzo, includendovi allora Sel in coalizione e oggi Leu non coalizzata. Un milione e mezzo circa in meno. Una bella botta, che si moltiplica però in catastrofe grazie alla legge elettorale e al meccanismo di attribuzione dei seggi.

E soprattutto se confrontato al risultato del Centrodestra, che allora fu secondo per appena centomila voti mentre oggi, tutto coalizzato, ottiene circa 12 milioni di voti, tre e mezzo in più del centro sinistra. E un recupero di più di 2 milioni rispetto a cinque anni fa. Un successo che diventa strepitoso, grazie sempre al meccanismo di attribuzione dei seggi .

Cinque anni fa, però, c’era anche qualcuno che oggi non c’è più: la “lista Monti”, che ebbe tre milioni e mezzo di voti. Chi li ha presi? Non il Pd che ne ha persi di suoi, ma lo stesso centrodestra ne ha presi poco più della metà, che comunque pochi non sono: forse vale ancora tra centrodestra e centrosinistra quella specie di regola secondo cui vince chi si coalizza e perde chi va in ordine sparso? Come diceva Pappagone: vincoli o sparpagliati? (Anche se lui era più serio e quando faceva questo sketch tra il ’69 e il ’70 si era a ridosso dell’autunno caldo, e mi sa che si riferiva proprio a questo).

Il centrodestra che sembrava diviso in modo irreparabile fino a poco fa, e quasi lo sembra anche oggi, è stato pronto a ripresentarsi “vincoli” e lo fatto tanto in fretta che nel rimescolarsi hanno fatto un casino, e così Forza Italia – ma allora si chiamava Popolo delle Libertà, ricordate? – è scesa da oltre sette milioni di voti ad appena quattro e mezzo, e l’allora moribonda Lega è cresciuta di quattro volte, da 1,3 a 5,6 milioni. (Un po’ come il rospo di Esopo: oltre quattro milioni in più. Tre e mezzo Monti e due mezzo Berlusconi: ne manca dunque ancora uno abbondante. Chi lo ha preso?).

Anche i Fratelli d’Italia crescono, di quasi mezzo milione, e a differenza di cinque anni fa questa volta superano il quorum quel tanto che basta.

E infine il bruco, oppure la farfalla, chissà?: cresce da otto e mezzo a circa e oltre i dieci milioni e mezzo di voti, oltre due milioni in più, più di quanti ne ha persi il centrosinistra.  Laddove Salvini sostituisce Berlusconi, ma loro sono “vincoli”, qui i cinque stelle si sostituiscono al PD, ma in questo caso sono più che “sparpagliati”.  Lo scenario per certi versi si ripete, sostituendo le persone, ma raddoppiato: allora ce ne fu uno che “vinse ma non vinse”, perché non aveva i seggi per la maggioranza, e corteggiò Grillo, o fece finta di corteggiarlo, o non si sa bene che cosa fece. Oggi ce ne sono addirittura due che “vincono ma non vincono” perché non hanno tutti i seggi, e già da subito non si capisce bene che cosa combineranno nei prossimi giorni, per fare un governo. Insomma, si avvicendano e crescono di numero i vincitori che non vincono e la situazione resta così sempre la stessa, almeno sul piano del cosiddetto governo possibile: una metamorfosi che sembra partire con la lancia in resta, sbraita si agita e grida ma poi si blocca a metà e non arriva in fondo, le manca sempre quel qualcosa che la renda davvero interessante, almeno sul piano della rappresentanza istituzionale, in quanto strumento per far vedere che si è capaci di affrontare questa realtà.

Una metamorfosi però sembra esserci stata davvero dentro queste elezioni, e non nel teatro che osserviamo ma in noi stessi, almeno stando alle percezioni che tutti abbiamo sentito addosso, ma riguarda qualcosa non evidente nei numeri di voti o di seggi. Riguarda la qualità del sentimento degli elettori, la nostra antropologia, la nostra capacità di comprendere adeguatamente la realtà, e valutarla. Divento monotono, ricopio quello che avevo già scritto cinque anni fa: «Bisogna essere artisti veri. Ci vuole comprensione della realtà, capacità critica, tranquillità di fronte agli entusiasmi veloci, un buon pragmatismo ma sulle idee buone, non sugli slogan: alcuni di quelli che emergono – e si stanno consolidando, aggiungo ora – non mi piacciono per niente, affrontiamoli per tempo. Ci vogliono analisi e scelte, presenza, creatività. La ragione e la fantasia.»

 

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