«La razza è il prodotto politico del razzismo»

«Lo sanno tutti: le differenze tra le razze non esistono. Non esistono prove scientifiche in tale direzione, non perché non se ne siano cercate. Il patrimonio genetico non determina differenze razziali di capacità e comportamento. Eppure la razza è una realtà materiale, un differenziale concreto. La razza è il prodotto politico del razzismo. Non si tratta di negare un problema, ma ribaltarlo, e per fare ciò il primo passo è non rimuovere le parole che ci restituiscono questa realtà.»

Leggo così nella sezione approfondimenti di Infoaut di giovedì 8 febbraio, a commento della proposta di togliere la parola razza dalla Costituzione. Condivido il commento, e sul momento non gli avevo prestato nemmeno tanta attenzione, però poi nei giorni successivi mi sono reso conto che questo dibattito va avanti, evolve, e come sempre in questi casi, anche le buone intenzioni di chi ha avanzato la proposta, rischiano di essere ribaltate e strumentalizzate a fini opposti, come a voler insinuare, c
he la stessa Costituzione italiana pecchi di razzismo, perché nell’articolo 3 utilizza questa parola: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.»

È evidente, lo sottolinea ad esempio il Presidente della Corte Costituzionale Paolo Grossi, che nella Costituzione non si utilizza la parola razza per convalidarne la pseudo teoria biologica ripresa anche a giustificazione delle legge razziali del regime fascista, ma ci si riferisce al suo carattere di “costruzione sociale”. La razza non esiste ma il suo concetto sì, e anche le discriminazioni che comporta tramite il razzismo.  Questo spirito è ancora più evidente nel secondo comma dell’articolo 3: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.»  Proprio la corretta applicazione di questo articolo, che qualcuno propone di cambiare, può contrastare la costruzione di marcatori etnici discriminanti; togliere la parola, invece, mi sembra che annacqui i processi di “costruzione sociale” delle discriminazioni.

Su questi temi, giusto per citare un po’ di abc, ecco ad esempio quanto scrive Laura Zanfrini, in Sociologia delle migrazioni: “… è ormai acquisito e condiviso tra i sociologi il fatto che le differenze etniche sono l’esito di complessi processi di costruzione sociale. In altri termini, le differenze etniche sono ‘apprese’, nonostante sia diffusa la tendenza a conferirvi caratteristiche di naturalità. A ciò consegue che i confini tra i vari gruppi etnici mutano nel tempo, così come possono mutare i c.d. marcatori etnici, vale a dire i criteri attraverso i quali tali confini sono stabiliti. I marcatori etnici hanno una loro oggettività – consistano essi nel colore della pelle o in altre caratteristiche fenotipiche, oppure nella comunanza di lingua, religione, cultura, modi di vita – ma la loro scelta per definire i confini tra i diversi gruppi etnici è sempre arbitraria. Proprio per tale carattere, che ora tenteremo di chiarire, il ricorso al termine etnia è certamente preferibile a quello di razza. Quest’ultimo è abitualmente usato per indicare un raggruppamento di persone con comuni caratteri fisici ereditari che possono costituire motivo di profonda differenziazione nella sfera sociale: in sostanza, col termine razza ci si riferisce, di norma, al fondamento biologico delle differenze, laddove il termine etnia rimanda piuttosto all’identità culturale di una persona e alla sua appartenenza a una determinata comunità. Orbene, in base a una convinzione ancora piuttosto radicata, esisterebbero diverse razze umane, ciascuna delle quali contrassegnata da uno specifico patrimonio genetico a sua volta responsabile, oltre che di differenti tratti somatici, anche di differenti modelli di comportamento e quindi dell’idoneità a ricoprire determinate posizioni sociali. In realtà, la biologia ha ormai definitivamente appurato come le differenze fisiche tra quelle che chiamiamo razze si riducono sostanzialmente a differenze di aspetto esteriore, risultato di una lunga storia di contatti e incroci tra popolazioni diverse. La variabilità genetica riscontrabile tra individui appartenenti alla stessa «razza» è altrettanto estesa di quella che si osserva confrontando persone di diversi gruppi razziali. La razza è dunque, al pari dell’etnia, un concetto socialmente costruito…”

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