Fermati Attimo

Sparì alla vista di tutti una sera di maggio mentre correva sotto gli occhi di tutti ma ben altro stava accadendo su quel ponte e nessuno gli prestò attenzione. Del resto, frastornati tutti dallo scompiglio che li disorientò, nessuno colse davvero nemmeno i dettagli di quel ben altro; a terra era rimasta una ragazza di vent’anni.

Lui scelse quel momento per sparire ma soltanto dopo si capì che era sparito davvero e magari per sempre, ma a quel punto la notizia non interessava già più nessuno. Lì per lì, sul momento, ma anche per molto tempo dopo, c’era stato piuttosto da capire che cosa fosse accaduto davvero, su quel ponte, tra spinte corse fughe e sirene, perfino spari ma tutto insieme da non consentire a nessuno di poter vedere per intero il guazzabuglio che stava accadendo loro addosso, ma a ciascuno soltanto la sua parte, quella toccata per sorte, e non del tutto convinti nemmeno di quella, e dunque le testimonianze non combaciarono mai in modo soddisfacente. Vuoi per interesse, superficialità, pregiudizio, la voglia di dire comunque la sua o anche soltanto per un eccesso di emozione. A volte, nel ricostruire i fatti, si finse di non vedere le aporie a prima vista insignificanti ma che non consentivano di far combaciare il limite dell’esperienza dell’uno con le impressioni dell’altro.

Qualcuno aveva scattato delle foto ma anziché migliorare la comprensione suscitava uno sconcerto addirittura maggiore: che ci facevano quei poliziotti vestiti da coatti con la pistola in mano? Nemmeno chi s’era trovato lì, nel punto esatto della sparizione, s’era interessato a Lui, l’attenzione di tutti rivolta all’ammasso di dettagli confusi nel frastuono; e alla ragazza colpita nel silenzio da un proiettile in cerca di una morte su quel ponte. La ferita mortale e inutile il tentativo di trascinarla via, scostarla più in la per un qualche sollievo, o un soccorso che passasse di lì in quel momento, magari anche per caso. Se ne discusse pure in Parlamento e perfino in televisione ma nei giorni seguenti, alle ragazze come lei non restò che spargere a terra dei fiori. Le accompagnavano delle donne più anziane, alcune forse erano madri ma tutte insieme già esperte di quel particolare tipo di dolore. Chi non s’era stato trovato lì, su quel ponte, si struggeva come se il solo esserci stato avrebbe magari cambiato qualcosa.

Lui che c’era era scomparso proprio in quell’Attimo. Qualcuno lo cercò nei giorni che seguirono: qualche amico, i curiosi di turno, i familiari che non si capacitavano, la sua ragazza che forse gli dedicò un tempo un po’ più lungo ma dopo di lei pochi altri. Si attese un anno prima che il fatto giungesse alla notorietà presso un pubblico più vasto, si trattava pur sempre di una sparizione totale sotto lo sguardo di tutti e da nessuno notata. E anche ora la notorietà restò fugace, pronta a dissolversi in un sentito dire da cui riaffiorare a caso ma sempre più di rado e per un tempo sempre più breve. Alla fine si limitarono a dire Fuff, alludendo uno all’altro col gesto delle mani a qualcosa che si dissolve. Fuff. Poi più nemmeno quello. Sparito. Nessuno aveva colto l’Attimo.

Quando mezzo secolo dopo apparve inattesa l’incisione sul muro, nessuno certamente poteva ricordare la sua sparizione. S’erano radunati lì per commemorare la ragazza caduta sul ponte, perché di lei sì avevano ancora impresso nel ricordo il suo volto sorridente e malinconico, di lei ragazza, catturato allora in quella foto.

Riusciva a conservare quel ricordo, o ad averne un’idea, più o meno vaga, mitica o chissà che cosa, anche chi a quel tempo non era ancora nato, e dunque l’aveva appreso guardando proprio quella foto, e adesso erano lì perché i riti sono importanti e ci restituiscono le storie.

L’incisione sul muro colse tutti di sorpresa la sera del 12 maggio 2027. Apparve dal nulla come se fosse già lì ma non l’avessero ancora notata sul muro di quel ponte dove tutto era accaduto, mezzo secolo prima.

Qualcuno notò seduto lì a terra un anziano. Ci fu chi sostenne che fosse elegante, altri dissero sì ma stropicciato o addirittura che fosse un barbone con un vestito rubato. Chissà dove o quando? O forse il vestito era tutto ciò che gli restava di una sua qualche vita precedente. Vissuta chissà quando, o come? Dissero tante cose anche senza senso lì per lì su quel ponte ma solo perché non sapevano che altro dire. Fatto sta che Lui era apparso all’improvviso, e proprio alle spalle di quelle ragazze che oggi come ieri spargevano a terra dei fiori. Le accompagnavano delle donne più anziane, alcune forse erano nonne ma tutte insieme già esperte di quel particolare tipo di dolore.

L’avevano visto tirarsi su da terra gettando attorno uno sguardo attonito, prima di andare via veloce continuando a lanciare sguardi all’indietro. Magari non voleva dare sull’occhio e non gli piaceva tutta quell’attenzione addosso.

Non lo seguì nessuno. Quel vecchio era soltanto un’aporia che se ne stava andando. O magari davvero non ci fecero caso, tanto è vero che nessuno si preoccupò di seguirlo, o si pose il problema di capire chi fosse. Però, quando s’era alzato da terra, sul muro c’era un’incisione che prima nessuno aveva notato, apparsa nell’Attimo in cui anche il vecchio era apparso.

Fuff” aveva inciso. Era accaduto di tutto nel mondo in quel mezzo secolo ma solo per chi tutto quel tempo l’aveva vissuto davvero, infilando un giorno dietro l’altro, e insieme dentro tutto quel tempo un po’ alla volta e senza farci quasi caso, era cambiato anche il modo di raccontarlo quel mondo. Lui come un naufrago riapparso per caso non ne voleva sapere, lo infastidivano quegli sguardi addosso che non sapevano nemmeno che cosa avrebbero dovuto chiedergli.

“Fermati Attimo” aveva urlato mezzo secolo prima graffiandosi la gola, “e non perché sei bello” aveva aggiunto, quella sera sul ponte, rivolto alla pistola all’improvviso spuntata fuori come una scheggia impazzita da quel frastuono che tutto travolgeva, piombato qui dallo squarcio di una qualche realtà diversa. L’aveva scorta quella pistola luccicante di nero immaginandola già immobile, racchiusa in un ristretto frammento di tempo ma già tesa e puntata contro la schiena della ragazza, il grilletto già premuto e il proiettile già in viaggio, visibile lì nel mezzo dell’aria. Fermati Attimo e l’Attimo s’era fermato. Ti do mezzo secolo non un secondo di più gli sembrò di udire ma doveva essere una suggestione che veniva dall’interno della sua testa, non era possibile udire davvero una voce qualunque in quella bolgia d’inferno. Tutto avveniva di sicuro soltanto nella sua mente. Urla e spari urla e panico urla e sangue urla e rabbia. Una rabbia impotente che non può fare più niente. Gli occhi pieni di fumo e le lacrime nei polmoni. I pensieri in fuga e gli sguardi in cerca di ulteriori vie di fuga, traiettorie mutevoli aperte solo dal caso ancora lì dispiegate verso le quali correre senza rendersi conto se le gambe corrano davvero. C’è chi cade chi urta chi si rialza e chi si confonde in cerca di qualcuno che lo strattoni via o almeno lo prenda a schiaffi.

Fermati Attimo e l’Attimo era fermo e anche il Tempo lo era. Lo erano l’aria e le lacrime nei petti e i respiri, perfino gli sguardi dentro gli occhi. Il movimento dei corpi ridotto ad altro, immobile, in bilico tra un prima e un dopo scomparsi anche loro intrappolati nell’Attimo che non fugge più, e non esiste altro, non può esistere ciò che ancora deve accadere.

All’inizio Lui era rimasto schiacciato a terra lì dove s’era lasciato spingere da quella corsa allo sbando sul ponte, sospinto da mille mani contro il muro parapetto del ponte. Anche il suo corpo era fermo come tutto lo era, tutto attorno, ma lo sguardo no, dal suo viso immobile lo sguardo roteava attorno senza alcuna espressione mettendo a fuoco uno alla volta ora un particolare ora un altro: un lacrimogeno sospeso nell’aria a metà del suo volo, un altro già a terra fumante ma le sue spire di fumo erano sospese e irreali, ferme come per sempre, lì a un passo da Lui, quasi a toccarlo. Non si rese nemmeno conto del suo gesto e che fosse sua la mano che veda muoversi al centro di quella totale immobilità; era la sua stessa mano che passava dentro quelle spire di fumo che non sembravano toccate dal suo gesto. Ci ripassò la sua mano ancora dentro ma non accadeva nulla non si scomponeva quell’aria non si spingeva altrove quel fumo, nemmeno sembrava reale.

Dopo la mano mosse le braccia e poi le gambe e addirittura si alzò in piedi attorno però tutto restava fermo, ogni dettaglio di quel frastornato movimento di poco prima ora s’era trasformato in un oggetto sospeso, ciascuno separato dall’altro. Vide anche il proiettile. Sembrava quasi impaziente lì a mezz’aria contro la propria volontà, contro la schiena della ragazza. Si avvicinò e tentò di scostarlo con la mano quel proiettile inumano, di deviarlo spingerlo via ricacciarlo indietro ma non si poteva fare nulla. Mise addirittura se stesso su quella traiettoria ma non accadeva nulla lo stesso il suo corpo non poteva interagire con quella realtà impaziente di non interrompere il proprio corso, soltanto bloccata in quell’Attimo.

La ragazza era più giovane di lui di quasi nulla, forse un anno o due, ma non riusciva a guardarla il suo volto era irreale privo davvero di qualsiasi movimento non era affatto come nella vita vera quando ti blocchi fingendoti immobile ma attorno ancora tutto scorre e così anche l’aria continua a sfiorarti la pelle e l’immobilità resta un gioco che dura un momento, non un destino che si blocca per sempre.

Comprese con orrore che soltanto la smorfia irreversibile del dolore già pronto a scoppiare dopo l’Attimo, l’avrebbe fatto ridiventare vero quel volto.

Scappò via ma non fu semplice nemmeno lasciare il ponte districandosi da tutte quelle vite attorcigliate nei loro gesti incompiuti, sgattaiolare via senza urtarne nessuno di quei corpi dagli sguardi succhiati via.

Gli ci volle del tempo per comprendere ma forse soltanto in parte l’irrealtà in cui era immerso, Lui unico ad aggirarsi in un mondo sospeso. Gli ci volle del tempo per rendersi conto che nemmeno il Tempo poteva più misurarlo, e di quanto davvero ne fosse già trascorso da quando aveva invocato l’Attimo. Come avrebbe potuto accorgersi del momento esatto in cui il mezzo secolo a sua disposizione sarebbe finito. Perché di questo soltanto adesso era certo, se davvero esisteva ancora un Adesso, e soltanto in questo ciò che ora viveva somigliava ancora un po’ all’incertezza di cui ha bisogno la nostra vita per sentirsi continuamente in bilico, perché solo l’incertezza è reale e ci da lo scandire del sentimento che siamo.

I segni del tempo poteva scorgerli sul suo corpo, incisi come una lenta e inarrestabile metamorfosi. Nuove rughe sottili, un velo in più di malinconia sugli occhi, le mani più lente e il gesto un po’ per conto suo, anche il passo o la postura, tutte cose di cui non ti accorgi mai prima ma soltanto dopo, quando ti appaiono come delle sviste che però nella vita reale puoi associare a qualcosa che accade all’esterno, a cui poterti aggrappare per associare almeno il ricordo di te stesso. Invece qui, dove l’Attimo l’aveva intrappolato, non accadeva nulla all’esterno perfino gli uccelli sembravano disegnati nel cielo, come infilzati.

Andò via dal ponte e dalla città, non sopportava più la vista di quei simulacri di persone col passo sospeso. Camminò verso oriente camminò a lungo fino a farsi imbiancare i capelli fino a quando perfino il sole sembrò risollevarsi a ritroso, un poco alla volta, dall’orizzonte. Il suo passo gli regalava così l’illusione di un lento cambio di prospettiva ma in realtà era soltanto Lui a cambiare la sua posizione e non l’orizzonte che restava come lui intrappolato nell’Attimo.

Nulla accadeva là fuori e nessun respiro scorreva sulla sua pelle, la vita si svolgeva soltanto dentro il suo corpo, se ne accorgeva ogni volta che qualche nuova pesantezza s’aggiungeva alle altre, era Lui stesso con tutto quel suo corpo che continuava cocciuto a spostare qua e là, la misura del suo Tempo. Non aveva da misurare altro che se stesso. Non c’era nulla che lui potesse misurare o delimitare o cambiare fuori di sé, nulla era nel suo controllo eppure tutto quel fuori di sé lo sentiva che c’era, lì ad un soffio da Lui ma un soffio in tensione e bloccato dall’Attimo. Lo sentiva tutto quel mondo fuori di lui come una molla che si stava caricando, come se tutto quel Tempo fosse pronto a srotolarsi via tutto in un colpo solo, quando sarebbe giunto davvero il suo tempo, perché il tempo è un’illusione poterlo sospendere.

Ma non era solo una questione di Tempo, se ne rese conto un po’ alla volta, camminando tra sterminate pianure e cieli privi di respiro, era lo Spazio a spiazzarlo davvero. Certo, la causa era ancora una volta il Tempo, la consapevolezza di quello spazio senza tempo e senza una misura a delimitarlo, a fargli provare una vertigine senza appigli, senza nulla o qualcosa di indefinito o di vago in cui annegare dolcemente, solo l’asprezza di un infinito vuoto senza nulla, strappato al suo stesso divenire.

Tornò indietro al suo ovest. Erano trascorsi anni, o forse nulla, non aveva indizi se non la stanchezza del suo passo per comprendere in anticipo quando il Tempo sarebbe riapparso, e Lui stesso sbalzato fuori dall’Attimo. Ritornò sul ponte lì dove tutto era iniziato e si adagiò di nuovo impotente lì a terra. Nulla s’era mosso, ogni cosa al suo posto, e nulla ancora sembrava irreversibilmente accaduto, tutto era ancora fermo come quella sera, e anche il proiettile lì a mezz’aria. Fu allora che gli venne quell’idea simile a una prospettiva che non si trova fuori ma dentro di sé.

Ma fu come un gesto meccanico, non se ne rese quasi conto quando vide la sua mano estrarre dalla tasca un coltellaccio avuto sempre con sé ma mai usato, non ricordava nemmeno perché l’avesse. S’accucciò di nuovo lì dove l’avevano spinto mezzo secolo prima. Era tanta la quantità dei passi che lo avevano infiacchito nel corpo, che si lasciò quasi cadere, ma iniziò ugualmente subito a incidere quella parola sui mattoni già sbrecciati, un colpo alla volta metodico fino a distruggere la lama scavando nel muro un solco che fosse evidente colpendo fino a graffiarvi con le unghie, come un’anima quando si agita. Iniziò un poco a rendersene conto soltanto alla fine, giusto il tempo di una breve pausa prima dell’ultimo colpo, e l’Attimo srotolò via come un niente tutto ciò che doveva essere già accaduto, sparì via tutto come dentro la fessura di una diversa realtà di cui nessuno ancora s’era accorto.

Poi gli apparvero dei colori, sembravano nuovi, e delle ragazze che spargevano fiori. Ne sentì la voce. La voce. L’aria attorno a Lui era di nuovo quel suono che ti scorre addosso e ti fa vibrare la pelle ora però lo stordiva, troppo improvviso quell’eccesso di onde sonore sul suo corpo, non vi era più abituato, ne aveva rimossi l’esistenza.

Scappò via impaurito temendo che quei primi suoni potessero evocare l’antico frastuono; scappò via impaurito continuando a girarsi indietro, non capendo perché tutti quegli occhi lo puntassero attoniti; scappò via impaurito preoccupandosi giusto di questo ma non lo seguì nessuno, era di nuovo un’aporia ma finalmente andava via davvero.

Nel 2023 il racconto “FERMATI ATTIMO” è stato selezionato finalista per la sezione Racconti inediti del Premio Nabokov, XVII^ edizione (2022) ed inserito nell’antologia Sulle orme di Nabokov.