Terrone

di Tullio Bugari

Quando gli dissero terrone, con quel tono sprezzante, pensò che si riferissero all’odore della terra della sua campagna, lasciata dalla sua famiglia da pochi mesi appena, per trasferirsi in una città dove quell’odore non c’era. Dell’odore della sua terra aveva trattenuto il ricordo, di quando v’immergeva le mani per rigirarla, granulosa, lungo il margine di un solco da poco scavato, per costruirvi un gioco mentre guardava gli adulti che dal fondo del campo salivano, spargendo attorno, strette tra le mani, manciate di grano; maritando la terra con una nuova semina.

Quell’anno non avevano più seminato. Già da alcune stagioni a ogni nuova semina mancava sempre qualche persona in più, partita per una fabbrica o una miniera del nord, e nei campi presto le avrebbero sostituite con nuove macchine dalla città.

Alla fine s’erano arresi anche loro, ma all’inizio dell’estate, dopo l’ultima mietitura. Non gli era toccato come ai mezzadri con la disdetta di San Martino, costretti a lasciare metà del proprio respiro nel campo, dopo la semina che non avrebbero visto crescere.

Anche il suo respiro però era rimasto intrappolato in quella terra, e quella parola pronunciata in modo sprezzante, terrone, l’aveva urtato come una mano che lo rovistasse estranea nel petto.

Non s’accorse nemmeno d’essergli già saltato al collo, a quello stupido ragazzo di un palmo più alto di lui. Intervennero subito a separarli, per sua fortuna, perché l’altro era più grande e forte, e pure cattivo per la sua stupidità. Ma nessuno, per il resto di quel mese, in quel centro di una valle alpina del nord dove l’avevano mandato a trascorrere l’estate, si rivolse più a lui con quella parola storpiata in modo sprezzante.

Soltanto una manciata di anni dopo, già studente sulla via dell’università, capì che terrone era l’insulto lanciato a chi veniva dalle regioni del Sud, che lui ancora non aveva mai visitato, ma immaginò subito profumate di terra, e ogni volta che in treno incontrava quelle persone con valigie di fortuna strette tra le mani, vedeva aggrappati ai loro sguardi i barlumi di quello stesso profumo che anche lui conosceva.

Nel 2020 il racconto “Terrone” è stato selezionato finalista nel Concorso Nazionale Scrivere Altrove (XII edizione), sezione “Italia che migra”, organizzato dalla Fondazione Nuto Revelli.