Gignò e il cappello magico

Im028.htmHo recuperato ancora un po’ di documentazione dimenticata, di attività svolte anni fa.  Questa volta si tratta dei risultati di alcuni laboratori sperimentali che avevamo chiamato “La fabbrica delle storie“.  Interventi di animazione del racconto, organizzati dall’associazione Casa delle Culture, per sensibilizzare all’intercultura e in particolare all’ingresso nelle scuole italiane di bambini provenienti da altri paesi, o nati da famiglie provenienti da altri paesi. Eravamo nell’anno scolastico 2000-2001. Un’era fa.  Il primo laboratorio si svolse in una scuola elementare di Moie di Maiolati, vicino a Jesi, dopo essere stato sperimentato con il loro gruppo di insegnanti.

Nella prima fase ogni bambino (e prima di loro: ogni insegnante) ha disegnato la sua sagoma sdraiandosi su un grande foglio di carta bianca, seguendo il contorno del suo corpo con un pennarello. Facendosi aiutare dai suoi amici, naturalmente (o dai colleghi o colleghe). Un’esperienza caotica e divertente.

Poi abbiamo appeso le sagome in fila sulle pareti e abbiamo iniziato a riflettere sul fatto che tutte le persone, prima di conoscerle, ci sembrano uguali, delle sagome senza storia. Anonime e spersonalizzate. Poi ciascuno ha iniziato a riempire la sua sagoma con delle storie, disegnandoci dentro un oggetto preferito, un ricordo lontano, di un viaggio o di una bella esperienza, la scena di un film o di un libro, le note di una canzone, il ritratto di un amico e così via. Poi abbiamo di nuovo appeso le sagome in fila sulla parete, e questa volta le sagome parlavano, raccontavano storie, suscitavano domande negli altri, portavano qualcosa. Abbiamo riflettuto sul fatto che ciascuno di noi, durante il giorno, quando va a scuola, a calcetto, o al lavoro, in qualunque luogo e ruolo che svolge, in fin dei conti non va in giro come una sagoma vuota ma porta sempre tutto se stesso, con tutte le sue storie dentro di sé. E anche se le tiene nascoste, o anche se cerca di raccontare solo ciò che sceglie di raccontare –  come i disegni che ha scelto di mettere nella sua sagoma – questi li porta comunque sempre con sé perché sono la sua immagine nel mondo.

Poi abbiamo immaginato un migrante che deve lasciare il suo paese, e deve lasciare le cose che ama, non può portarle tutte. Nella finzione di questo gioco può sceglierne soltanto una. Le altre le lascia al paese. La scelta è dolorosa. Abbiamo preso un paio di forbici e ciascuno ha fatto un buco nella sua sagoma, ha tagliato via l’oggetto da portare con sé. E’ stato un passaggio traumatico del gioco. Qualche insegnante era sul punto di piangere, tanto il coinvolgimento. Così per i loro alunni hanno scelto di non usare la forbice, troppo cruda, ma di far scegliere ai bambini di ridisegnare su un foglio piccolo l’oggetto che volevano portare, copiando da quelli messi prima dentro la sua sagoma.

Poi si arriva nel nuovo paese e s’incontrano altre persone. Ciascuna senza sagoma, con una sagoma nuova da dover disegnare e riempire, ma in che modo, dal momento che ciascuno ha solo un disegno. Allora i bambini si aggregano in due diversi gruppi, e in ciascuno mettono in comune i loro disegni. Ecco che c’è di nuovo il materiale per formare una storia, che nasce da questo nuovo incontro, così come i disegni delle sagome lasciate al paese erano nate dall’intreccio delle storie precedenti di ciascuno.

lb6Nell’ultima fase del gioco ciascun gruppo cerca di capire cosa c’entrano tra loro gli oggetti che hanno messo in comune, Li studiano, immaginano relazioni, riempiono con la fantasia, fanno come racconta Gianni Rodari a proposito del “binomio fantastico”, e partendo da quegli oggetti che ora sono insieme, inventano una nuova storia.  Ma non è finita. La storia deve prendere vita. Prima i due gruppi si incontrano al centro della sala e in ciascuno di loro un rappresentante legge il racconto che hanno inventato e scritto. Poi ciascun gruppo si organizza per metterlo in scena, animarlo, recitarlo, e dopo mezz’ora eccoli, ciascun gruppo che rappresenta agli altri la sua storia. E intanto nascono nuovi spunti e idee, di sicuro ci saranno ancora altri intrecci di relazioni, nuovi gruppi si formeranno, in una dinamica aperta, e nuove storie ancora nasceranno.

Ricordo che si divertirono molto. Noi riuscimmo a ripetere questo gioco anche in altre scuola, ma molte meno di quelle che avremmo voluto. Ecco intanto la documentazione che ho ritrovato. Era dispersa nella rete, pubblicata in un sito web di allora. Potenza della rete, sembra che non si perda mai nulla. C’è  quasi da preoccuparsi. Ecco le due storie inventate da quei ragazzi di quarta o quinta elementare, che ora dovrebbero avere più di venti anni.

Nelle due storie inventate naturalmente sono stati gli elementi di differenza a dimostrarsi più ricchi, i quali proprio per la loro differenza e originalità hanno stimolato di più a cercare relazioni nuove tra gli oggetti portati, a percorrere strade meno usuali e meno banali, a spingersi senza timore più in avanti. In ogni sottogruppo c’erano, appunto, dei bambini venuti da lontano, capaci di far rivivere il loro mondo lasciato al paese anche attraverso uno solo degli oggetti portati con sé, che però era riuscito a trovare buona accoglienza tra gli oggetti dei loro amici, e con questi a rivivere in una nuova storia.

Gignò e il cappello magico
C’era una volta un bambino di nome Gignò che viveva in Africa.
Un giorno decise di partire con la sua famiglia, perché tutta la sua famiglia aveva il desiderio di conoscere un altro paese.
Quando arrivò il giorno della partenza Gignò era felice perché era curioso della nuova vita che l’attendeva, ma si sentiva anche un po’ triste perché in Africa lasciava suo nonno ammalato, a cui era profondamente legato, e tutti i suoi amici.
Gignò per compiere questo viaggio portò con sé le fotografie di tutti i suoi amici, la  fotografia del nonno, la sciarpa e il cappello che suo nonno gli aveva regalato, quando si erano salutati.
Gignò giunse in Italia.
Il bambino rimase stupito, sorpreso ed ebbe una splendida visione dinnanzi a questo nuovo paese: la realtà che aveva davanti ai suoi occhi era molto diversa da quella che aveva lasciato.
Dopo aver visitato varie città in Italia, la famiglia di Gignò si stabilì in un luogo tranquillo, affittarono una casa e i suoi genitori decisero che era arrivato il momento di mandarlo a scuola.
In principio, quando Gignò arrivò a scuola, si sentì solo e spaesato, ma man mano che trascorrevano i giorni, fece amicizia con gli altri bambini, iniziò a comprendere la loro lingua, e insegnò loro tanti giochi e canzoni della sua terra, come ad esempio il gioco della casa delle streghe.
Anche gli altri bambini mostrarono a Gignò i loro giochi e gli raccontarono tante cose dell’Italia. Gignò era molto felice, ma dentro di sé sentiva la mancanza di qualcosa: aveva una grandissima nostalgia di suo nonno e di tutti i suoi amici che aveva lasciato in Africa.
Improvvisamente, si ricordò di quanto gli aveva detto un giorno suo nonno, cioè che il cappello che gli aveva donato, non era un cappello come tutti gli altri, ma aveva due grandi poteri: rendeva più intelligente chi l’indossava e permetteva di realizzare due desideri.
Allora Gignò prese il cappello magico e l’indossò, si concentrò ed espresse i suoi desideri più grandi: rivedere il nonno e la sua terra e che tutti gli uomini potessero vivere in pace.
I desideri di Gignò vennero esauditi e da quel giorno in poi vissero tutti felici e contenti.

Le avventure di Loa
C’era una volta una bambina di nome Loa che viveva in Africa con la sua famiglia.
Loa aveva un pappagallo a cui era molto legata di nome Gianni.
Ogni giorno, il pappagallo ripeteva alla bambina che era arrivato il momento di partire per visitare un nuovo paese, perché solo così avrebbe avuto la possibilità di fare nuove esperienze e di conoscere altre culture.
Il pappagallo Gianni sapeva infatti, che Loa era stata da sempre una bambina molto curiosa.
Un giorno la bambina decise di partire di nascosto in compagnia del suo pappagallo che le avrebbe indicato la strada. Come ricordo della sua terra e della sua famiglia, Loa portò con sé la medaglia di suo nonno che era scomparso da poco tempo.
Dopo molti giorni di viaggio arrivò nel luogo che le era stato indicato dal pappagallo. Appena arrivata, Loa rimase stupita perché subito vide un fiore meraviglioso.
Questo fiore era molto grande, di colore rosso con sfumature gialle. Anche questo fiore, come il pappagallo che sapeva parlare, era magico. Loa incontrò altri bambini, divennero subito amici ed insegnò loro ad andare a pesca.
I bambini per ringraziarla la invitarono ad un compleanno.
Durante la festa i bambini cantarono e ballarono tutti insieme, anche il pappagallo Gianni cantava tutto felice. Però, improvvisamente, arrivò un uomo che invidioso di come i bambini si stavano divertendo in compagnia di Loa, voleva catturare il suo pappagallo. I bambini tentarono di proteggere Loa e il suo pappagallo usando il fiore magico, che Loa aveva visto il primo giorno che arrivata da loro.
Allora i bambini tutti insieme, presero il fiore magico, lo mossero con forza e l’uomo si addormentò profondamente. Loa era riuscita a proteggere così il suo pappagallo. I bambini però si accorsero che Loa era diventata triste: aveva nostalgia della sua famiglia e dell’Africa.
Loa comprese che era arrivato il momento di ritornare a casa. La bambina ripartì per l’Africa portando con sé il fiore magico e lasciò il suo pappagallo ai bambini che l’avevano aiutata.
Quando tornò a casa Loa raccontò la sua avventura ai suoi genitori e mostrò loro il fiore magico. Il fiore venne piantato nel giardino della loro casa vicino al grande albero del mango.
Ogni mattina che Loa andava in giardino, vedeva il suo fiore e si ricordava così dei suoi cari amici lontani.

1Non ho  ritrovato le foto della “fabbrica delle storie”; le foto qui inserite sono dei due laboratori di formazione interculturale tenuti a Jesi (1999) e a Lleida (2000), durante il progetto di scambi interculturali Odysseus 2000); il quadro a fianco era stato realizzato a Lleida da alcune operatrici dell’Associazione Gusantina di Saragozza, e fu utilizzato per la copertina del libro Itinerari, storie di viaggio dentro al mondo, nato sempre nell’ambito di quel progetto.

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