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Il testo che segue è la traccia che ho usato ieri (20 dicembre 2013) in un discorso di benvenuto ai nuovi cittadini italiani che hanno acquisito la cittadinanza negli ultimi due anni; la cerimonia è stata organizzata dal Consiglio Comunale di Jesi; vi hanno partecipato una trentina di nuovi cittadini, che subito dopo il saluto del Sindaco e del Presidente del Consiglio Comunale, hanno preso la parola per raccontare, seppure in breve, alcune loro testimonianze e proposte. La foto che ho scelto a commento,l’ho scattata due anni fa a Milano, esattamente in questi stessi giorni, ad una manifestazione di migranti a Milano.

1 Negli ultimi 6 o 7 anni in Italia  sono state concesse circa 40 mila nuove cittadinanze all’anno (metà per matrimonio e metà per residenza). E’ un fenomeno in crescita, sia per la maturità di processi migratori in atto da trent’anni, sia per l’evoluzione demografica del paese, che ha sempre più bisogno di essere integrato con risorse esterne.

Sono numeri importanti, 40 mila, ma anche bassi, pari appena all’1% delle presenze di cittadini stranieri. Sono bassi anche a causa della legislazione in vigore sulla cittadinanza, che privilegia il diritto di sangue e mette freni alle naturalizzazioni: il limite di attesa è di dieci anni, che spesso si prolungano per la burocrazia.

Una legge punitiva per chi nasce in Italia da una famiglia migrante. Le nascite hanno oramai superato le centomila unità all’anno: un nato ogni cinque, eppure per essere cittadini italiani devono aspettare il 18° anno di età, anche se questo paese è il loro unico contesto di vita.

C’è un dibattito attivo sulla riforma della legislazione, forse anche troppo attivo visto che nella scorsa legislatura sono stati presentati addirittura 48 disegni di legge, senza risultati; nella nuova legislatura mi pare che siano già  una quindicina: auguriamoci che evolvano presto e in modo positivo. Tra l’altro, un’indagine condotta dall’Istat conferma che più del 70% degli italiani è favorevole.

Si dice spesso che l’acquisizione della cittadinanza debba essere una tappa di arrivo del percorso di integrazione, una sorta di riconoscimento finale.  Io credo che sia anche un stimolo importante e un aiuto, a non far sentire ad una persona d’essere messa da parte, e che l’integrazione in una società non termina mai, per nessuno di noi: è un processo storico continuo.

Non esiste una comunità statica, omogenea e già formata per sempre in modo stabile, e altri che devono semplicemente integrarsi, adeguandosi. La società è dinamica e si sviluppa di continuo.

Un piccolo esempio, di curiosità, dalla storia millenaria della nostra città. Avete in mente il nome di alcune vie del centro storico, via Costa Lombarda, vicolo Fiorenzuola? Ci ricordano che nel 1471 ci fu a Jesi una massiccia immigrazione da Lombardia, Toscana, Veneto e anche dai Balcani, sei o settecento persone invitate per ripopolare la città dopo una grave epidemia di peste, quando erano rimaste appena due o tremila persone. Arrivarono tutti insieme, popolando i rioni che ancora oggi chiamiamo con il loro nome. Tra i nuovi arrivati il più noto fu Federico Conti, che portò l’arte tipografica. Qualche anno dopo, seguendo questi nuovi riferimenti, arrivò anche il pittore Lorenzo lotto. Questo afflusso massiccio ebbe influenza anche sulla lingua parlata e consentì alla città di riprendersi.

Parlavo dell’evoluzione demografica. Le proiezioni dell’Itat al 2065 – quando quelli nati oggi avranno cinquant’anni – prevedono in Italia una popolazione uguale a quella di odierna, per effetto però di una diminuzione della popolazione naturale di circa 11-12 milioni di persone, sostituite però da circa 12 milioni di nuovi migranti. Ma il ricambio reale è ancora maggiore, perché gli arrivi sono previsti pari a 18 milioni, mentre altri 5 o 6 milioni nel frattempo andranno via.

Anche a Jesi, secondo l’anagrafe comunale, lo scorso anno la flessione di 156 unità è stata rimpiazzata da 165 nuove residenze di stranieri.

Questi numeri si riferiscono alle residenze: viene da sé che una nuova legge sulla cittadinanza deve essere all’altezza di questi fenomeni così importanti.

Intendevo questo per processi dinamici. E’ questa la sfida dell’integrazione che interessa tutta la nostra società e alla quale i nuovi cittadini italiani, venuti da lontano, sono invitati a partecipare insieme a noi, e insieme ai ciìttadini stranieri in attesa di cittadinanza e residenti.

La sociologia insegna che i processi di integrazione sono lunghi, richiedono più generazioni, ma forse è meglio che ci affrettiamo un po’ perché la realtà evolve in fretta. Come italiani conosciamo bene questi processi, per esperienza storica.

Dall’unità d’Italia alla metà del Novecento, sono emigrati 28 milioni di italiani: la più massiccia migrazione al mondo. Un terzo è tornato ma gli altri sono diventati cittadini di altri paesi; nel mondo i discendenti di italiani sono stimati in circa 60 milioni, più o meno quanti siamo oggi in Italia. Non esiste una famiglia in Italia che non abbia avuto almeno un parente emigrato.

Spesso non sono bastate due generazioni, ce ne sono volute di più per superare le difficoltà dell’integrazione. Oggi oramai abbiamo esempi illustri; di recente il nuovo sindaco di New York. Ma anche lo stesso Papa Francesco. Abbiamo diversi discendenti di italiani diventati celebri nel cinema, nella cultura, ci sono scrittori e tanti altri.

Anche in Italia questi processi sono in atto, tra mille difficoltà, anche quando nessuno li aiuta, e in certi settori avvengono in forme anche veloci, per fortuna. Anche se non mancano qua e là forme stupide di razzismo, come è capitato ad esempio alla nostra ministra Kyenge, o al calciatore Balotelli,  per citare alcuni dei più famosi.

Citavo prima gli scrittori. E’ oramai viva in Italia da almeno vent’anni tutta una nuova letteratura italiana prodotta da persone originarie di altri paesi; non si tratta nemmeno di seconda generazione e l’italiano lo hanno imparato qui da adulti. Qualcuno la chiama ancora letteratura migrante, per distinguerla dalla vera Letteratura. In realtà, abbiamo avuto modo di conoscerla anche qui a Jesi, qualche anno fa con il festival letterario Alfabetica, che ha portato in città una quindicina di scrittori e poeti, originari di Albania, Algeria, Brasile, Somalia, Etiopia, Romania, Croazia, Polonia e altri paesi.

Abbiamo avuto modo di constatare che si tratta di un vero contributo alla letteratura italiana, perché valorizzano la potenzialità della lingua italiana per inserire nella nostra cultura le loro nuove sensibilità, ma non solo nel senso che portano storie di altre paesi – certo, anche questo, ma è la parte più ovvia, se ci fermassimo a questo faremmo solo dell’esotismo – ma portano anche la sensibilità dell’esperienza sociale di vita, con tutto ciò che ha significato per tanti il viaggio migratorio, il ricostruirsi un’identità partendo dal basso, senza tirarsi indietro davanti alla fatica, ma reclamandone anche il rispetto e la dignità.

Sono valori anche della nostra storia, di gente laboriosa che ha lottato e ha costruito con il lavoro ciò che oggi abbiamo, ma di cui forse abbiamo perso un po’ la memoria. Possiamo ritrovarla nel confronto con chi viene da lontano, riscoprendo insieme a loro le nostre potenzialità e ciò che insieme siamo in grado di offrire. Tanto più, in un momento economico e sociale assai difficile, che richiede la partecipazione critica e consapevole di tutti.

Forse queste esperienze, e tante altre che non ho il tempo di ricordare, dovrebbero essere sostenute e fatte conoscere di più, incoraggiate. Forse sono tempi dififcili e facciamo difficoltà noi stessi a ricordarci chi siamo, quali sono le nostre risorse e potenzialità. Aprirsi a nuove cittadinanze, nuovi percorsi, può essere uno stimolo per tutti.

Voglio fare un accenno alla Costituzione. Chi diventa cittadino italiano giura sulla Costituzione. Ricordo la testimonianza di un amico, nel periodo in cui attendeva il suo giuramento e studiava la Costituzione, era tutto preso, assai di più di un italiano comune. Mi chiedeva: “ma come, sulla vostra costituizone c’è scritto questo ma allora voi vi comportate in modo diverso?” Anche questo mi pare che sia un ottimo stimolo per tutti noi.

Infine. Spesso, tra i luoghi comuni delle conversazioni correnti, si dice: “sì va bene “accogliamoli”, però devono accettare le nostre regole”. E poi la grande frase: “non ci sono solo i diritti ma anche i doveri”.

Io di solito, quando sento parlare di regole, penso ai regolamenti dei condomini, le cui riunioni hanno fama di essere uno dei luoghi a più bassso livello di integrazione. Le regole devono essere funzionali e se serve si cambiano ma per cambiarle nel modo giusto hanno bisogno di ispirarsi ai Principi.  Non bisogna mai dimenticare questa differenza.

In quanto ai diritti e ai doveri, ricordo quando come associazione Casa delle Culture organizzavamo incontri nelle scuole, e per far capire bene la differenza, proponevamo un gioco nel quale occorreva distinguere tra i “diritti” e i “capricci”. Basta giocare un po’ e diventa subito chiaro che il “diritto” non è una licenza a pretendere tutto ma si basa sul rispetto dei diritti degli altri; così come il “dovere” non è qualcosa da imporre come limitazione e divieto, ma ha un valore positivo orientato alla solidarietà, come recita l’articolo 2 della costituzione, nella sezione dei Principi fondamentali: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.”

Diritti e doveri non sono concetti da contrapporre ma sono simili, faccia della stessa medaglia, non si può avere l’uno senza l’altro.

Non ho parlato affatto dell’Europa, è un peccato, ora che la stessa idea di Europa ha bisgno di essere meglio compresa, occorre intanto non dimenticare che con la cittadinanza italiana si diventa automaticamente anche cittadini europei.

Concludo cun una doppia proposta. Non so se già è in dicussione, sarebbe importante che anche il Comune di Jesi, come tanti altri in Italia, per dare uno stimolo a chi deve legiferare in materia, conceda la cittadinanza onoraria ai nuovi nati in Italia da famiglie senza la cittadinanza.

La seconda proposta va alla prossima cerimonia simile a questa, nel prossimo anno: il benvenuto ai nuovi cittadini italiani potrebbe darlo direttamente uno dei nuovi cittadini di oggi, in modo che possa già raccontare direttamente, a tutti noi, la sua esperienza.

Grazie per essere venuti qui.

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