A Jesi diminuisce la popolazione in età da lavoro

Giocando con i numeri. Ciò che propongo in queste righe non è una vera analisi, articolata e con tutti i confronti necessari per trarre interpretazioni solide; esprimo soltanto alcune impressioni da una veloce lettura, tanto per dare un’occhiata, dei dati anagrafici dei comuni che l’Istat annualmente raccoglie.

Negli ultimi cinque anni (dal 2016 al 2020 compreso) a Jesi sono diminuti quasi mille residenti (959 per l’esattezza), che scendono sotto la soglia dei 40 mila (soglia “psicologica” superata 2018), in linea con il trend generale di flessione che interessa la maggioranza dei comuni italiani.

Restando nella nostra provincia, tanto per guardarci attorno qui nel nostro territorio, nello stesso periodo la flessione totale è di 11.773 unità, cioè con un ritmo di oltre duemila residenti all’anno. Inquietante? Soltanto sei comuni registrano una crescita, significativa in termini percentuali soltanto per il più piccolo di questo gruppo, Offagna, che supera seppur di poco la soglia dei 2 mila residenti. Gli altri 41 comuni, sia grandi che piccoli, risultano tutti in flessione: in valore assoluto la perdita più rilevante riguarda Fabriano, seguita da Ancona (che scende sotto i 100 mila residenti) e Jesi. In termini percentuali, le flessioni maggiori riguardano i comuni delle aree interne montane (Fabriano, Cerreto d’Esi, Arcevia, Genga, Sassoferrato) o collinari in particolare della valle esina (Serra San Quirico, Montecarotto, Cupramontana, Staffolo), ma anche della valle del Misa (Barbara, Ostra, Ostra Vetere). La metà dei comuni (24 su 47) subisce flessioni tra il 3% e l’8%), in soli 5 anni. Eppure, non ci facciamo nemmeno caso. (1)

Tornando alla città di Jesi, tra i fenomeni di cui tener conto, scorrendo questi dati, c’è anche quello dei cittadini stranieri che nel periodo hanno ottenuto la cittadinanza italiana (sono 175 solo nell’ultimo anno mentre erano stati 194 nel primo anno esaminato); sono numeri importanti (che riflettono probabilmente la maturità, del resto raggiunta già da tempo, dei cosiddetti “flussi migratori” in città) e che potrebbero spiegare ampiamente la diminuzione  nell’intero periodo dei cittadini stranieri iscritti nei registri anagrafici, mentre ulteriori afflussi migratori di altri cittadini stranieri sembrano rallentare; fenomeno, quest’ultimo, da approfondire.

Per il momento, appare comunque interessante notare – se non ci siamo già abituati anche a questo – che a differenza degli anni passati, quando la flessione dei residenti era, seppure solo parzialmente, contrastata dall’aumento dei residenti stranieri, in questo ultimo periodo (2016-2020) questo non si verifica più. Al contrario, diminuiscono in città anche i cittadini “stranieri” (meno 291 unità), i quali rafforzano così la diminuzione dei cittadini “italiani” (meno 668).  Jesi non è più un comune attrattivo? Non si può dirlo in modo così immediato, questi numeri di per sé non sono sufficienti, e il discorso andrebbe dunque approfondito con ulteriori analisi, e ovviamente dati, non solo anagrafici. E inoltre è un fenomeno non solo locale.

Inserisco una parentesi “metodologica”. Non sto confrontando le singole variazioni anno su anno, che potrebbero per approssimazione dare un’idea dei flussi annuali, ma sto in modo sbrigativo confrontando solo il primo e l’ultimo anno del periodo.

Resta in ogni caso il dato totale, di tutta la popolazione iscritta all’anagrafe, che risulta per l’intero periodo in significativo calo. Vediamone ora la composizione per classi di età. Una flessione sensibile (meno 458 unità) riguarda i più giovani, sotto i dieci anni di età, mentre restano stabili o crescono ma di poco le classi tra gli undici e i trenta anni. Diminuisce quindi ulteriormente il peso dei più giovani, che dovranno rimpiazzare nei prossimi anni le classi “in uscita”.

Una contrazione ancora più accentuata riguarda però, già da oggi, le classi in età da lavoro tra i trentuno e i cinquanta anni (addirittura meno 1.325 persone, il 3.3% degli iscritti totali cinque anni fa), con una flessione più accentuata nella fascia 36-45 anni di età).

Al contrario, le classi di età superiore crescono, di 660 unità, però quasi interamente nella fascia tra i 51 e i 65 anni, mentre è sostanzialmente stabile la popolazione residente delle classi over 65.

I dati relativi ai cittadini stranieri risultano interessanti anche esaminati per classi di età, registrando una diminuzione in tutte le classi sotto i 50 anni anni (con la sola eccezione dei ragazzi tra gli 11 e 15 anni), mentre aumentano tutte le altre; crescono, seppur di poco, anche gli over 80 stranieri.  Nell’esaminare i dati sui cittadini stranieri occorre tener conto, oltre che del numero di chi ha ottenuto la cittadinanza italiana, come dicevo poco sopra, anche dell’elevato turn over nelle iscrizioni, per il flusso ancora oggi più intenso, rispetto agli italiani, sia delle nuove iscrizioni che delle maggiori cancellazioni, queste a favore sia di altri comuni che di paesi esteri.

L’aspetto che invece, come ho già sottolineato, richiama di più l’attenzione, è il calo della popolazione in età da lavoro. Questo fenomeno era già evidente da una precedente analisi di cinque anni fa; scrivevo allora: “Le classi di età dai 26 ai 40 anni diminuiscono in soli 5 anni di quasi mille unità assolute, di cui 1.030 con cittadinanza italiana, sostituiti solo parzialmente da non italiani, appena 147 in più.”

Oggi, dopo cinque anni, il fenomeno è “scivolato” nelle classi d’età superiore, tra i 30 e 45 anni di età, con numeri però che sembrano accentuare ancora di più questa dinamica. Sarebbe interessante approfondire davvero le tendenze in atto, cercandone conferme o spiegazioni.

A questo punto, ho voluto inserire anche un semplice grafico; la linea in rosso con il quadratino come simbolo rappresenta i residenti per classe di età al 2020; la linea blù con il simbolo del rombo gli stessi residenti nel 2015; più in basso, la linea in verde con il triangolo esprime le variazioni in valore assoluto di ciascuna classe nel periodo esaminato: risulta evidente quanto ho appena commentato; le classi di età centrali, che sono anche le più numerose in valore assoluto, “slittano” in avanti perché non vengono rimpiazzate dalla classe più giovani, creandosi così nell’immediato “un vuoto” significativo nelle classi in età lavorativa, che in prospettiva non verrà colmato dalle classi ora più giovani, mentre per effetto dello “slittamento” avremo un probabile innalzamento nei prossimi anni delle classi di età più elevata.

Appare dunque particolarmente importante approfondire l’analisi di questi fenomeni, con attenzione sia al mondo produttivo e alle politiche (per contrastare almeno parzialmente questa dinamica di “erosione” della struttura sociale, pensando a programmi che possano avere effetto nel lungo periodo), sia all’assetto dei servizi sociali e sanitari e infrastrutturali in genere, per i quali non ci si può certo limitare ad una logica di manutenzione o di ricerca dell’efficienza ordinaria, che sarà sempre più inadeguata. Ho usato più volte l’espressione “in età lavorativa” perché è questa la definizione che si usa correntemente per le classi di in età di lavoro, ma oltre a questo si tratta anche di classi sociali formate da famiglie e individui, con bisogni anche differenti tra loro, ma che nel loro insieme hanno un ruolo centrale, o egemone se vogliamo, e dunque un impatto diretto sugli assetti sociali e sugli indirizzi culturali della città; al momento le classi di età centrali, probabilmente le più importanti nell’esercitare questo ruolo e influenza sulla città dei prossimi anni, risultano quelle che subiscono l’indebolimento maggiore.

Jesi, Residenti per classi di età, confronto dati al 31/12/2015 e al 31/12/2020 (fonte: Istat)

Note: 1. A livello nazionale (censimento Istat 2020) le flessione demografica nel 2020 rispetto all’anno precedente è stata di circa 400 mila unità, in linea con il trend degli anni precedenti si spiega nel commento; cioè, si procede al ritmo di quasi mezzo milione all’anno; secondo stime di istituti internazionali a fine secolo la popolazione italiana potrebbe scendere a circa 40 milioni, cioè un terzo meno di oggi. Naturalmente, il problema non è soltanto il numero che diminuisce, ma anche e soprattutto la composizione che si trasforma.

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