28 febbraio 1940, la tragedia delle miniere di Arsia

28 febbraio 1940, la tragedia delle miniere di Arsia. LA MEMORIA È UN CAMPO DI BATTAGLIA (citando Remo Bodei). Ci sono tragedie ben presenti nella memoria collettiva, come quella dei minatori di Marcinelle (che giustamente commemoriamo, perché è un pezzo importante della vita della nostra gente, costretta a emigrare e farsi cacciare sotto terra pur di lavorare, e garantire “carbone alla patria”), e altre dimenticate, di cui non abbiamo mai sentito parlare, come la tragedia ancora più grande dei minatori di ARSIA, in Istria, di cui ricorre in questi giorni l’anniversario. Erano le 4 del mattino del 28 febbraio 1940 quando un violento scoppio di gas provocò la morte di 186 lavoratori e l’intossicazione e ferimento di  altri centocinquanta, in buona parte locali, ma anche veneti, friulani, lombardi, emiliani, toscani e sardi, e anche croati e sloveni. La miniera era arrivata ad occupare anche diecimila minatori e come avveniva allora in altre situazioni simili, anche il paese di Arsia era stato costruito apposta per ospitarli (progettato da Pulitzer Finali, che negli stessi anni progettò anche Carbonia in Sardegna), all’inizio era  all’interno del comune di Albona, poi divenne comune autonomo. La miniera era stata inaugurata personalmente dal duce, che poi come usava allora per la sua propaganda era sceso sotto con i minatori a far finta di lavorare. Le miniere erano state spinte al massimo; la Germania era già in guerra e a causa dei blocchi navali non poteva più rifornire di carbone l’Italia, che a sua volta aveva già deciso di entrare in guerra (aveva già occupato l’Albania e appena un anno dopo avrebbe attaccato il regno di Jugoslavia, allargando i confini fino a Lubiana) e il carbone serviva, anche a scapito delle norme di sicurezza, così la produzione fu spinta da 300 mila ad 1 milione di tonnellatte annue. Si trattò di una tragedia di regime; i vertici della società mineraria furono subito rimossi ma dell’accaduto si preferì comunque non parlare, perché appariva come il fallimento di una politica; fu conferita una medaglia al valore civile ad Arrigo Grassi, un minatore che soccorse i suoi amici, riuscì a salvarne una decina ma poi cadde dentro la miniera accanto ad un altro compagno che non riuscì più a salvare. Un gesto estremo di solidarietà. Poi però questa tragedia, a parte la conoscenza che ne hanno le comunità locali (anche se soggette in seguito alle “diaspore” di guerra e dopo guerra e nuovi spostamenti di confine: oggi il paese si chiama Raša e fa parte della Croazia), fu pressoché dimenticata.

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