È la somma che fa il totale

Ieri (21 settembre 2020) alle 15 il cielo si è fatto buio e ha iniziato a tuonare, come se volesse ufficializzare lo sconvolgimento istituzionale appena partorito, poi più tardi quasi nulla, tutta scena, anche se la scena di questi tempi è tutto, e si può conquistare anche senza valanghe di voti da uno schieramento all’altro.

Senza valanghe? Guardiamo i numeri. Perché come diceva il Principe de Curtis, è la somma che fa il totale, e se non li sommi il totale è più basso.

Cinque anni fa Ceriscioli  vinse tranquillo con il 41,07%, dando addirittura due cifre (percentuali) di distacco ai suoi avversari, l’ex “governatore” Spacca grazie al quale si spaccò il centro destra, che con gli “alfaniani” e “forza italia” prese un modesto 14,21%, e l’Acquaroli “primo turno” che con i fratelli d’italia e la lega prese qualcosina in più, il 18,98%. Un centro destra unito avrebbe preso il 33,19%.

Ceriscioli aveva imbarcato anche gli Udc, che una volta li trovi col centro sinistra e quella dopo con il centro destra: allora quel 3,41% se fosse stato già piegato verso destra, avrebbe portato i due schieramenti a 37,56% e 36,50%. Insomma, a battersela, come si suol dire.

Sto trascurando l’attore “minore” dello schieramento di sinistra, quello che al tempo di Bertinotti aveva consentito a Prodi di completare la sua alleanza vincente, finché durò. Cinque anni fa la lista unitaria di questa area prese il 3,82%, non molti ma in via teorica, se è la somma che fa il totale, avrebbe ben rimpiazzato l’Udc, e invece fu l’Udc a rimpiazzare loro.

Poi c’è il terzo attore, quello dalla strana teoria che destra e sinistra non esistano, il 5 stelle, che si presentò per fare anche lui scena e prese cinque anni fa il 21,78% (lista del candidato presidente), in voti assoluti furono 133.178, non pochi.

Già, i voti assoluti. Di solito preferisco guardare questi piuttosto che le percentuali, le quali nascondono il peso dell’astensione, il quale però è stato più alto proprio cinque anni fa: allora votarono (per la lista presidente) 611.336 persone, questa volta 677.618 quasi sessantamila in più, non proprio pochi (se a questi sommassimo i giovani che sono andati a votare per la prima volta, avremmo una base nuova di elettori piuttosto ampia, entrata sulla scena per portare qualche differenza: al solito, ci vorrebbe qui una vera analisi dei flussi).

Andiamo comunque a vedere oggi, 2020, quali consistenze e direzioni possa aver preso questa apparente valanga di voti da uno schieramento all’altro.

La destra stavolta non era sparpagliata ma “vincoli” e ha consolidato un bel 49,13% (gli Udc erano dentro stavolta ma a nessuno viene il sospetto che sia opera loro). Anche in numero assoluti la loro lista (presidente) ha avuto oltre 360 mila voti, contro i circa 223 mila di cinque anni fa (se sommassimo anche a quelli di allora gli Udc), con un aumento di circa 140 mila voti. Per niente pochi.

Il terzo attore, né destra né sinistra, ne perde più della metà, da 133 mila a 63 mila, dal 21,78% all’8,62% (e forse è questa l’unica vera valanga, mentre loro festeggiavano per  aver tagliato i parlamentari, gli elettori tagliavano i loro voti).

Ho già detto che questa non è un’analisi di flussi ma la suggestione immediata (o magari è anche un abbaglio) è forte: circa settantamila voti usciti dai 5 stelle, da quella che una tempo era l’antipolitica, e altri 60 mila circa rientrati dall’antipolitica dell’astensione, fanno più o meno i 130 mila, tanti quanti quelli raccolti dalla destra. Buon per loro, che stavolta erano vincoli e non sparpagliati, e pescavano con una rete sola.

E nell’altro schieramento? La lista (presidente) Mangialardi ha avuto il 37,28%, esattamente lo stesso livello di Ceriscioli senza Udc di cinque anni fa: Occhetto a suo tempo l’avrebbe definito lo “zoccolo duro”. I voti assoluti erano stati allora (senza l’Udc) circa 210 mila, oggi sono stati 274 mila, anche loro sessantamila in più (qualcosa hanno pescato, non dovrebbero lamentarsi in questo senso: continuando a scherzare (sic) si potrebbe dire che Mangialardi ha fatto risuolare gli zoccoli, peccato che questi sono tempi in cui ci vogliono gli scarponi e non calzature da spiaggia).

Mi ha sorpreso, aprendo al seggio la scheda elettorale, l’ampio ventaglio di liste collegate al candidato Mangialardi; a prima vista la scena è quella di un ampio e articolato sistema di alleanze, sei liste questa volta contro le due di allora (se togliessimo l’Udc). Ma forse non sempre la scena conta, magari quelle liste non sono venute da “fuori ” ma si sono solo moltiplicate da quelle già esistenti, ecco infatti Italia Viva a distinguersi e così anche per le altre (e non è che magari anche la campagna elettorale l’hanno fatta un po’ ciascuno per conto proprio?).

La differenza tra i due schieramenti, sommando i voti in questi modi, risulta grande: un distacco di circa il 12% a favore della destra (che scenderebbe a circa 7%, un valore ancora alto, se l’Udc fosse restata nell’altro schieramento). In valori assoluti la differenza tra i due è di circa 90 mila voti: 361 mila ai primi e 274 mila ai secondi.

E l’attore “minore” di sinistra, che ogni volta risorge come un’araba fenice in forme  che vorrebbero essere nuove, e che anche questa volta correva da solo? Circa 12 mila voti (lista presidente), sotto il 2%. Era andata meglio cinque anni fa: il doppio dei voti, cioè 24 mila, e appena sotto il 4%. Ma forse anche qui conta l’essere più che sparpagliati? Infatti, c’era pure un’altra lista, questa volta, “Comunista” che ha preso i suoi 8 mila e passa voti, pari all’1,3%: insomma, alla fine anche questo, che gli piaccia o no, è più o meno uno “zoccoletto duro” che oscilla stabile sui suoi livelli.

E se lo schieramento che doveva confrontarsi con la destra unita avesse scelto di presentarsi come nell’attuale coalizione del governo nazionale? Sì lo so che i cinque stelle non lo sanno così bene nemmeno loro con quale schieramento vogliono stare e che Leu non è affatto simile alla lista della sinistra qui in regione, e che poi c’è quell’Italia Viva che… ma lasciamo stare, proviamo a sommarli ugualmente per vedere ciò che accade, e già che ci siamo mettiamoci pure entrambe le liste degli attori minori di sinistra: otteniamo un 49,11%. Ma che bella suggestione questa coincidenza di numeri.

Ma se è vero, come diceva Totò, che è la somma che fa il totale, la maestra a scuola ci tirava le orecchie ogni volta che provavamo a sommare le pere con le famose mele e così via, perché la realtà è sempre più articolata e ricca e mai semplificabile, e in questo caso dipende dalle politiche messe in atto nel tempo per deteminarle quelle omogeneità da sommare.

Però la suggestione dei numeri continua a intrigarmi, e mi fa venire il dubbio, anzi la certezza, che alla fine tutte queste valanghe di voti da uno schieramento all’altro non ci sono, ma sono piuttosto, in buona parte anche se mai in tutto, rimescolamenti al loro interno, e così,  per ciò che riguarda il risultato sugli assetti istituzionali, cioè chi si garantisce il potere di dominare la scena, mi pare che ancora una volta non dipenda tanto dalle scelte di voto dei singoli con la matita e la scheda in mano dentro la cabina (che al di là delle scene, delle schiassate e dei selfie in piazza alla fine sommandoli quei voti non cambiano mai così tanto ma possiamo sempre “battercela”), quanto dipenda invece dalle scelte, dalle alleanze da costruire e in che modi, e di come “vincolarsi” o “sparpagliarsi”, o mobilitare la partecipazione eccetera eccetera, a determinare gli esiti istituzionali. “Vincoli o sparpagliati”, diceva Pappagone.

Probabilmente, più che la scelta del voto che l’elettore si trova davanti, a quel punto quasi obbligata, del tipo o mangi ‘sta minestra o salti dalla finestra (e poi magari scegli anche di mangiarla questa minestra che ti propongono ma dalla finestra ti ci butta qualcun altro) quello  che dovrebbe contare piuttosto è la possibilità di influire sulle scelte a monte che fanno i dirigenti politici di turno, in tutte le  loro forme. Un tempo la chiamavamo Partecipazione, cioè la democrazia che si esercita e si vive quotidianamente nelle lotte (ma non basta svegliarsi un’ora prima alla mattina).

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