Narrare una vita (“Carmen che non vede l’ora” alla Nottenera)

12110042_10153775917163729_4948637312067159825_oNarrare una vita per narrarla tutta. Quando la vita diventa racconto, e il mondo attorno un palcoscenico che prova a raccoglierla con un solo sguardo, forse è proprio allora che la vita ritrova se stessa nella sua intima interezza. “Ho ritrovato il corpo di Carmen, me stessa” dice l’io narrante a un certo e preciso punto, ora che ha affidato la narrazione alle voci degli attori. “Facciamo che io sono Carmen e facciamo che tu sei..” è questo il mantra che Tamara Bartolini e Michele Baronio si rilanciano di continuo, come in quei giochi che inventavamo da piccoli, in un tempo oggi diventato mitico ma allora tutt’uno con noi, un tempo anteriore a ciò che avremmo incontrato, e ora possiamo ricondividere, e non perché ci ritroviamo qui come se ci fossimo arrivati per caso, ma proprio perché per farlo abbiamo attraversato davvero tutto questo.

12094924_10153775916513729_2943037719453880573_oCi sono anche Tamara e Michele dentro il racconto che ci propongono, perché quella vita è stata vissuta davvero e la sua storia è stata raccolta e condivisa da loro, attraverso la magia dell’incontro, e a un certo punto della narrazione possiamo ascoltare le loro voci, registrate, mentre dialogano con la vera Carmen, e così anche noi sentiamo come suona la  voce di Carmen. Li ascoltiamo mentre insieme commentano vecchie foto recuperate, chiamate a testimoniare, sollecitare un ricordo, fornire un pretesto per far partire l’immaginazione necessaria a far rivivere momenti e situazioni, luoghi e persone, il mondo che è stato e la vita che l’ha attraversato portandosi con sé significati che forse avevano bisogno proprio di questo palcoscenico, dove sono loro l’anima del racconto, il ritmo interno.

La vita che viviamo di solito è più ampia dei nostri gesti, incorpora anche l’immagine introiettata dei nostri genitori e nonni, come se noi stessi fossimo già con loro prima ancora della nostra nascita, e allora la storia di Carmen parte addirittura da prima della guerra e attraversa più terre, la Jugoslavia, l’Abissinia, la nave che circumnaviga l’Africa, e poi Napoli, la valle del Basento, Roma, si ritrova negli anni Sessanta e Settanta e oltre, si compone di più mondi e più consuetudini, e in tanta frastagliata ampiezza noi rischiamo di frammentarci, forse è per questo che ricerchiamo di continuo noi stessi, e che Carmen a un certo punto riesce a dire con soddisfazione “ho ritrovato me stessa, ho riunito tutti questi frammenti.

Questa mattina mentre scrivevo queste righe ho trovato su youtube la registrazione completa di Carmen che non vede l’ora, in una rappresentazione di un paio di anni fa, in un teatro di Roma. Potete trovarla QUI. Ieri sera, immersi nella NOTTENERA di Serra de Conti, lo scenario forse era ancora più adatto, intanto perché non eravamo soli ma tutto il paese era un pullulare di situazioni, nello stesso momento, con tante storie narrate in ogni angolo immerso nel buio della notte, e inoltre perché anche noi eravamo all’aperto, in una piazzetta Belvdedere che si apre nelle mura del paese, in una piazza vera insomma e sotto al cielo stellato, che sembrava prolungarsi sul palco con la scenografia scelta, piccole luci appese che scendevano e ondeggiavano sparse, e il cielo entrava talmente dentro la scena che anche il telo alle loro spalle non era bianco opaco ma di leggera tela trasparente, e quindi le immagini proiettate non ci si fermavano sopra ma l’attraversavano per andare a perdersi, come un’involontaria metafora di libertà, sullo sfondo dei tetti e delle colline: facciamo che siano ancora lì, mimetizzate e libere. “Facciamo che le foto si vedono lo stesso” diceva Tamara mentre ogni tanto sul palco tornava a commentarle insieme a Michele, per riprendere così di nuovo lo slancio per altri scorci della storia di Carmen.

(le foto non sono di ieri sera, le ho prese dal blog Culturalmente e sono del fotografo Matteo Nardone)

Informazioni su Tullio Bugari

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