Bobby Sands, 5 maggio 1981

Trentacinque anni fa, il 5 maggio del 1981, moriva Bobby Sands, dopo 66 giorni di sciopero della fame nel carcere di Long Kesh, il famigerato Blocco H. Si disse che quello sciopero smosse in profondità coscienze e sensi di colpa, eppure fu affrontato con estrema durezza dal premier di allora, Margaret Thatcher, e dopo di Bobby Sands ne morirono altri 9  in quel carcere – gli Hunger Strike – e per gli accordi di pace si dovette attendere ancora una quindicina di anni.
DSCN0054DSCN0053Bobby Sands nei primi giorni di sciopero, prima del ricovero in infermeria, tenne un diario segreto sui suoi pensieri. Fu pubblicato in Italia con il titolo Un giorno della mia vita. Lo ricordo come una delle letture più intense e coinvolgenti: “Sono un prigioniero politico. Sono un prigioniero politico perché sono l’effetto di una guerra perenne che il popolo irlandese oppresso combatte contro un regime straniero, schiacciante, non voluto, che rifiuta di andarsene dalla nostra terra. Io difendo il diritto divino della nazione irlandese all’indipendenza sovrana, e credo in essa, così come credo nel diritto di ogni uomo e donna irlandese a difendere questo diritto con la rivoluzione armata. Questa è la ragione per cui sono carcerato, denudato, torturato.” 
Perché scioperavano? Per mettere fine alle torture e al regime di carcere duro. Chiedevano il riconoscimento di detenzione politica. Con i prigionieri dell’Ira furono sperimentati nuovi sistemi avanzati di tortura. Avevano già iniziato a protestare con altre forme di lotta ma in assenza di dialogo e sottoposti a continui pestaggi avevano deciso lo sciopero della fame, a turno, iniziando uno alla volta. Bobby Sands fu il primo, morirà dopo 66 giorni, dopo di lui ne moriranno altri nove.
Un po’ di anni fa, all’inizio di gennaio, facemmo (con l’amico Giacomo Scattolini) un giro turistico politico da quelle parti, sulle strade della trouble nord irlandese e scrivemmo qualcosa per il settimanale Avvenimenti. Riportai a casa anche un voluminoso diario di appunti, che però utilizzai solo in poche occasioni (per ricordare il Bloody Sunday di Derry). Poco dopo uscì un film su quella storia, Hunger, di Steve McQueen, distribuito Italia solo quattro anni dopo. La prima tappa del nostro viaggio la facemmo a Belfast, diretti proprio alla tomba di Bobby Sands, al cimitero degli eroi, come lo chiamano ancora oggi.
Per ricordare ora quella giornata, e la figura di Bobby Sands come la percepii durante quella visita, riprendo i miei appunti dal diario, solo un po’ riordinati, lasciando le stesse ingenue emozioni del momento:
DSCN0047DSCN0057DSCN0049«È una bella giornata, il sole in cielo non riesce mai ad alzarsi più di tanto dall’orizzonte e così taglia le luci e le ombre in modo forte, saturo di contrasti vivaci anche a mezzogiorno. Il cielo di Belfast, invece, è di un azzurro slavato, ampio, quasi bagnato e leggero, come l’iride di un occhio che vola. Abbiamo camminato e gironzolato 5 o 6 ore, fotografando murals e chiacchierando qua e là lungo la strada, prima di arrivare al Miltown cemetery, dove Fall Road diventa Andersontown e da lì si sviluppa un altro grande quartiere repubblicano, più in periferia, dove sappiamo che ci sono ancora altri murals. L’ultimo tratto di strada lo percorriamo accompagnati da un signore a cui abbiamo chiesto dove si trova la tomba di Bobby Sands. Lui ci ascolta, ci pensa e decide di accompagnarci, approfittandone per raccontarci un po’ di sé e un po’ del luogo verso cui stiamo andando. Non è molto facile intendersi, parla un inglese troppo difficile per noi, e probabilmente anche il nostro inglese è un po’ difficile per lui. Non ci scoraggiamo, bene o male riusciamo a comunicare. Si chiama Peirce, è vestito con un giubbetto leggero, sembra a noi, ha i capelli tra il biondo e il bianco, l’aspetto proletario, gli occhi la stessa iride azzurra degli sguardi leggeri. Scopriremo che allora doveva aver fatto parte di una formazione politico – militare di orientamento socialista, alleata dell’IRA. Entriamo a Miltown. Notiamo che ci sono seppelliti molti italiani, con cognomi in parte oramai in disuso in Italia, morti a Belfast molti anni fa. Ne annoto uno per tutti, ancora molto diffuso nel nostro Sud: Fusco, un cognome che ricorre su più tombe, scopriremo un Fusco anche tra i dirigenti dell’Ira. Il nostro amico ci spiega che alla fine dell’Ottocento vennero qui molti italiani, scultori, artisti, artigiani, scalpellini, soprattutto per lavorare alla costruzione della City Hall, e poi molti di loro sono rimasti a vivere a Belfast. Il cimitero è grandissimo, diverso dai nostri, le tombe e le lapidi sono a terra, molte da quasi un secolo, tante oramai dimenticate, non è più venuto nessuno a rassettare fiori e prato, e così vasti settori somigliano a dei campi incolti, con l’erba alta e malandata, come ricordi rimasti da soli in mezzo al tempo che scorre.
DSCN0063DSCN0060Il cimitero è ampio come il cielo d’Irlanda che lo sovrasta, è posto su una debole collina, di quelle che non stancano il passo, quanto basta per vedere in lontananza la città appena un po’ più in basso, laggiù, e ammirarne l’ampiezza. È tutto un intrico di viottoli, alcuni soltanto di terra battuta o sentieri con erba alta. Sulle lapidi, spesso oltre al nome e alle date di nascita e morte, ci sono anche brevi estratti delle storie o una sorta di referenze, i nomi di persone importanti che hanno avuto una qualche relazione di parentela o collegamento con il defunto. Tra queste cosiddette referenze ci capita più volte di leggere il nome di John Kennedy. Ogni tanto c’è una tomba più nuova in mezzo alle altre più antiche, e così spicca una piccola chiazza di fiori freschi e dai colori vivaci. Anche i colori dei fiori sono diversi da quelli dei nostri cimiteri, riflettono il diverso gusto dei vivi. Da noi prevalgono di più le sfumature, qui la vivacità dei contrasti sembra più decisa, e forse più fresca. Ma c’è sotto un’intenzione che va ancora oltre e così mi accorgo anche della prevalenza di fiori arancioni, che ben accostati con il bianco e il verde tendono, tra le lapidi, a ricreare i colori della bandiera irlandese. Gli stessi colori che abbiamo già visto durante la mattina utilizzati spesso nei murales, nei graffiti, nelle scritte sui muri. I colori della parte cattolica e repubblicana.  Anche la tomba di Bobby Sands è a terra come le altre. Sulla stessa lapide ci sono tre nomi, Bobby Sands, Terence O’Neill e Joe Mc Donnell. Sono loro gli eroi. Sono tutti ragazzi. Vicino c’è la tomba di Kieran Doherty e attorno a loro quelle di molti altri volontari repubblicani, oltre agli  hunger strike anche altri  morti in azione, come è inciso e ricordato sulle lapidi lucide e nere. Bobby Sands aveva quasi la mia età, DSCN0066DSCN0067DSCN0065era appena due anni più giovane. Come me, anche lui inizia la sua vita politica all’età di 18 anni ma a differenza di me incontra sulla sua strada un paese tagliato in due. Oddio, non è che da noi a quel tempo ci facessero comunque mancare le bombe nelle banche, nelle piazze, sui treni o nelle stazioni, ma era pur sempre un’altra situazione. La prima volta che lo arrestano è perché è in possesso di armi, lo tengono dentro fino al 1976, nel carcere di Long Kesh, meglio conosciuto come il blocco H. Non vede l’ora di uscire per riprendere il suo posto nei gruppi repubblicani. Lo catturano soltanto sei mesi dopo, durante uno scontro a fuoco. Sua moglie si chiama Geraldine ed è incinta di quattro mesi. Lo condannano a 15 anni e lo riportano al Blocco H. Inizia a scrivere poesie.
Nel 1980, all’età di 26 anni,  viene nominato ufficiale dei prigionieri dell’Ira nel Blocco H e il primo marzo 1981 da inizio ad un nuovo sciopero della fame. Nel suo diario scrive: “Poi l’alba arrivò. A poco a poco dalle ombre della notte il mio incubo giornaliero cominciò a prender forma. La sporcizia, i muri sfregiati, gli angoli più nascosti della mia tomba maleodorante mi diedero di nuovo il buongiorno. Restai disteso ad ascoltare il mio respiro leggero e il gracchiare dei corvi. Fuori nel cortile la neve era alta. Lo sapevo fin troppo bene. Avevo passato metà della notte raggomitolato in un angolo, mentre la neve, entrando tra una sbarra e l’altra della finestra, si posava sopra il mio materasso. La noia cominciò a prendermi con le prime luci del mattino. Di lì a poco la giornata che avevo davanti mi sarebbe sembrata interminabile e presto la depressione sarebbe divenuta di nuovo la mia compagna..”
Lo sciopero della fame sarà l’inizio della sua fama, e della discesa verso il mito. L’impatto sull’opinione pubblica, non solo irlandese ma internazionale, sarà notevole. Si interessa a lui anche il nuovo papa polacco di Roma ma il primo ministro britannico, la Lady di ferro Margareth Thatcher, rifiuta il dialogo. Ai primi di aprile si tengono delle elezioni suppletive per sostituire il rappresentante della contea di Farmanagh, Bobby Sands viene candidato come anti Blocco H e il 9 aprile viene eletto con circa 30 mila voti al Parlamento di Westminster, battendo per una manciata di voti il candidato del partito unionista. Sarà parlamentare solo per 25 giorni, morirà in prigione il 5 maggio 1981, dopo 66 giorni di sciopero della fame. Moriranno altri nove detenuti: il 12 maggio Francis Hughes, il 21 Raymond McResh e Patsy O’Hara, l’8 luglio Joe McDonnel, il 1° agosto Martin Hurson, e Kevin Lynch membro dell’INLA, il giorno dopo Kieran Doherty, l’8 agosto Thomas McElwee, il 20 dello stesso mese Micky Devine. Muoiono in 10.
Lo sciopero cessa soltanto il 3 ottobre, dopo 7 mesi. Al funerale di Bobby Sands partecipano più di 100 mila persone. Ci sono manifestazioni in tutto il mondo, anche in Italia. Alla regina Elisabetta riescono a tirare un palloncino riempito di salsa di pomodoro. A Theran cambiarono il nome ad una strada intitolata a Churchil e la dedicarono a Bobby Sands.»

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Una risposta a Bobby Sands, 5 maggio 1981

  1. edp ha detto:

    Un pezzo di cuore, Bobby Sands. Un pezzo della mia adolescenza, della mia vita.

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