La casa di Ghilarza

cameraLa casa di Ghilarza era della madre Giuseppina; Antonio Gramsci – Nino, come era chiamato in famiglia – aveva circa sette anni quando vi si trasferirono. Non è esattamente la sua casa natale ma è qui che visse gli anni della maturazione. Quando si trasferì a Torino per frequentare l’Università, grazie ad una borsa di studio, era già socialista e già giornalista. In questa casa ritornò, qualche volta, per far visita alla madre. Ora il luogo è una casa museo, per onorarne la memoria. Provo sempre una strana emozione quando ho l’occasione di trovarmi in luoghi che testimoniano questi passaggi di vita, ove sono custoditi alcuni oggetti e mobili,  le sue lettere, alcuni dei libri da lui letti allora, documenti della sua vita. In uno di questi, leggiamo che Nino scriveva a casa da Torino, nel periodo universitario, e chiedeva di controllare sul posto la traduzione e il significato di alcune espressioni in sardo logudorese: doveva consegnare una tesina e voleva essere sicuro di evitare imperdonabili imprecisioni. L’attenzione per la vita attraverso le sue parole. La caparbietà di un’intera vita. Tra gli oggetti esposti nella casa occhialidi Ghilarza, mi ha emozionato in particolare un astuccio con degli occhiali da vista. E poi un modellino di legno di un carretto sardo, che Nino aveva costruito per mostrare a suo figlio Delio i carri della sua terra. Nella sua breve vita colma di impegno, trovava anche pause di tempo come queste, a costruire giocattoli, ed era anche un bravo artigiano, oltre alla testa sapeva usare bene anche le mani. E poi le lettere, carissima Giulia…  carissima mamma… e altre anccora. Qualche tempo fa avevo avuto modo di apprezzare il Gramsci privato, ricostruito da Lucia Tancredi attraverso lo sguardo della moglie, nel bel romanzo “La vita privata di Giulia Schucht”.  Nella casa c’è anche una camera da letto, ricostruita con l’essenziale recuperato anni dopo, ma è un microcosmo quell’essenziale, con una finestra che dal primo piano si affaccia sul cortile interno , dove allora c’era al piano terra, se ho ben capito, una cucina o il luogo dove impastare il pane. Di fronte, guardando dalla finestra, un tappeto di foglie sull’interno del muro che chiude il cortile. Nella sua biografia è scritto che da ragazzo facesse vita molto appartata, immerso nella lettura e nello studio. Poi andò a Torino, all’università e nel caldo dei consigli di fabbrica, e a Mosca, e deputato a Roma… e poi i lunghi anni di carcere, di nuovo chiuso ma esposto e nudo di fronte alle durezze del mondo perché separato dagli affetti della sua casa, non isolato però ma legato al mondo attraverso i suoi studi e i suoi scritti. L’attenzione per la vita attraverso le sue parole. Tra le poche cose che ho letto della sua vita, una di quelle che più mi ha colpito, ancora più dell’ampiezza degli argomenti a cui si applicava, è quando parla del suo metodo di lavoro. Non smise mai di pensare, e di dare una direzione umana ai suoi pensieri. Il giorno prima della sua morte, avvenuta il 27 aprile 1937, nel nord della Spagna nei paesi Baschi era stata bombardata la città di Guernica, un colpo molto duro alla giovane repubblica spagnola e al movimento proletario internazionale. Credo che Gramsci non abbia avuto notizia di questo doloroso fatto, perché era già entrato in coma il giorno precedente per un’emorragia cerebrale, il 25 aprile. Aveva 46 anni. Lo avevano arrestato all’età di 35 anni, poco prima che nascesse il suo secondo figlio, che non vide mai.  Quando morì, era ricoverato in clinica e agli arresti domiciliari già da qualche anno, per le gravi condizioni di salute, aveva però continuato a studiare, seguitare le sue ricerche, e a scrivere, fino all’ultimo momento in cui gli era stato possibile.

 

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