“Il canale” di Salvatore Paolo

phpThumb_generated_thumbnailjpgLettura interessante, immersa all’interno del mondo contadino: “… erano d’accordo che valesse la pena di sfidare i carabinieri per quelle terre. A giudizio di coloro che le conoscevano, esse erano una specie di terra promessa. Solo bisognava smacchiare, ripulire, scassare, dissodare. «È per questo che ci andiamo – diceva Renato, e dopo ci dovranno ringraziare.»
Si giunse così alla notte dell’occupazione. Partirono tutti dalla Camera del Lavoro. Andavano in bicicletta. Chi non l’aveva se l’era procurata. Benito l’ebbe dai figli di Giovanni Tenta, siccome loro ne avevano due e di essi vi andava solo il più grande.
Il tempo era umido e freddo. Nel cielo passavano delle nubi nere come corvi. Per tutte le strade c’era un via vai di gente. Si udivano voci bisbigliate o richiami da una casa all’altra. «Fernando, sei sveglio?». Qualcuno si era messo a riposare prima della partenza. «Pronto, ci sono».   Ed era una lunga coda di biciclette che si avviava per la via del mare. Andavano senza luci per non dare sull’occhio. Ma cantavano Bandiera Rossa, come se il canto non desse sospetto.”

Ad un certo punto della storia c’è anche questa occupazione delle terre, con un chiaro riferimento alle occupazioni dell’Arneo, con le biciclette dei contadini bruciate dai carabinieri, nel feudo di Nardò in Salento, e siamo infatti anche negli stessi anni, subito dopo la guerra.
L’ambiente sociale è lo stesso, con le stesse fatiche e durezze della vita. Il romanzo, però, non è una ricostruzione storica bensì ambientale e sociale, quasi antropologica, molto precisa e ricca di dettagli, che a tratti ricorda i Malavoglia di Giovanni Verga, ma per altri aspetti offre anche uno sguardo più individuale e introspettivo, psicologico, attraverso l’io narrante che è Assuntina, una ragazza e poi donna, che racconta – ricordandolo dopo, con il tono di chi è riuscito, almeno un poco, a distaccarsi dal duro ambiente in cui è cresciuta – la storia sua e della sua famiglia, i Mangialerba, caprai, con la loro casa umida e povera vicino al canale. Il padre e la madre, con i loro caratteri diversi e ben delineati dall’autore, poi i due fratelli, il maggiore e il minore – il più grande partirà soldato nel ’39 per finire poi in Russia -, la vita del paese, le gerarchie e anche le prepotenze, l’oppressione sociale. E nel mezzo i sogni infranti, come quello di Assuntina di poter studiare e diventare “dottoressa di polso”, cioè medico, oppure quello del padre di riscattarsi tentando la coltivazione del tabacco, ma si risolverà in una batosta, non solo per la stagione difficile e il gelo di primavera che brucia le piantine, ma anche perché il prezzo del raccolto lo stabilisce il potente del paese, e la vendita diventa così quasi un furto, naturale come le stagioni, e come se non bastasse acquista a novembre ma a Natale ancora non ha pagato una lira – struggenti le pagine sul pranzo di Natale, senza nulla, e del presepio senza pupi -, mentre il tabacco il padrone l’ha già lavorato e rivenduto, incassando subito, se non in anticipo, i suoi soldi e le sovvenzioni pubbliche. Nel racconto c’è anche il mondo delle tabacchine, lavoro che per un po’ Assuntina svolge. Anche i qui i paradossi dell’iniquità, con Assuntina che non ha i soldi per comperarsi un cappotto, anche vecchio, e la colletta a cui gli tocca partecipare per il regalo di natale alla mestra, per comperargli una radio.

Il linguaggio usato dall’autore è incisivo e sintetico e al tempo stesso capace di restituire la vivacità e la pienezza del modo di esprimersi popolare, nelle espressioni e ancora di più nella costruzione dei dialoghi, mantendosi al tempo stesso asciutto ed essenziale, permeato da un pessimismo costante, quasi fatalistico eppure capace di rivelare una resistenza d’animo – la famosa “resilienza” – che sorprende, sempre pronti a sognare possibili o impossibili riscatti. Molto spesso ingenui, ancora più spesso avversati in tanti modi diversi. Ma l’accento del racconto sembra posto sulla possibilità di un riscatto più esistenziale che sociale, come si percepisce dal tono stesso con cui l’io narrante, Assuntina, racconta a noi non risparmiandoci nulla, ma dopo che è riuscita a tirarsi, anche se solo per poco, un po’ fuori.

Interessanti anche le descrizioni del pesaggio. Anzi, più che paesaggio, potrebbe essere definito direttamente ambiente o natura, una natura dura e difficile, anch’essa essenziale e dura come uno stato d’animo, ma capace anche di destarsi senza riguardi. Un paesaggio ancora da “smacchiare”, per citare una delle espressioni usate nell’episodio dell’occupazione delle terre:
“Era luglio e non pioveva da oltre cinque mesi. Le piante appassivano e il canale s’era coperto di terra. Non c’era soffio di vento, eppure la polvere delle strade penetrava nelle gole col respiro. Dal sole era come se piovessero fiammate: ogni tramonto era la fine di una lotta per un po’ d’aria, per un po’ di vita. Anche la terra era stanca, prostrata, silenziosa. Intorno casa venivano a morire, nella ricerca disperata dsi una pozzanghera, tutte le rane del fossato consumato dall’arsura (…) Appena due giorni dopo soffiò il vento. Da ponente salirono le nuvole. Si levò la tramontana, improvvisa, turbinosa, e il sole si oscurò. S’impennarono i mulinelli di polbere inseguendosi per la campagna. I contadini, incalzati dal rombo dei tuooni, misero alriparo i fichi e il tabacco che seccavano al sole. Io mi affacciai allap porta: il vento mi portava via. L’orizzonte, nero come un carbone, era squarciato da contonui lampi nervosi. Vidi volare in un turbine stracci, foglie secche e pezzi di legno. Il cielo si abbassava sempre di più e incombeva su di noi. La grandine venne giù secca come una sassaiola, poi si diradò e divenne pioggia scrosciante. Il canale si gonfiava a vista d’occhio: l’acqua sopravanzò le rive e si riversò verso casa. Lambiva la soglia, invadeva la stanza, mentre la pioggia si faceva rabbiosa.”
Quasi per ricordarci che nemmeno la natura è uguale per tutti ma è capace di discriminare e colpire chi è restato più esposto ai suoi colpi.
Il romanzo fu scritto dall’autore nel 1956 ma poi pubblicato nel 1962, da Nuova Accademia Editrice, dopo essere già stato premiato come inedito al “Città di Bari”.

Informazioni su Tullio Bugari

https://tulliobugari.wordpress.com/
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